PARADOSSI, PROVERBI E REALTÀ

Un’immagine evocativa tra fede, metafora e ricerca interiore

L’immagine del cammello nel pagliaio con un ago accanto richiama simboli profondamente radicati nella tradizione religiosa e spirituale. Il riferimento al celebre passo evangelico «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago...» si intreccia con il proverbio che descrive la difficoltà di trovare un ago in un pagliaio. Questo paradosso visivo diventa un’occasione di riflessione sul rapporto tra materialismo e trascendenza, sulla ricerca della verità e sul valore della fede nell'accettazione di diddicoltà insormontabili. L’opera suggerisce un invito a guardare oltre il visibile, cercando il senso profondo dietro le apparenze.


Le Traduzioni della Bibbia: Errori, Approssimazioni e Distorsioni Storiche


La Bibbia è il libro più tradotto al mondo, ma paradossalmente è anche uno dei più fraintesi. Le sue versioni ufficiali si sono susseguite nei secoli, spesso adattandosi alle necessità teologiche e politiche del tempo. La traduzione è un processo complesso, e quando si tratta di testi sacri, ogni parola può avere conseguenze profonde.


Le Traduzioni e le Loro Incertezze

Le attuali versioni della Bibbia derivano da manoscritti in ebraico, aramaico e greco. Tuttavia, la traduzione di questi testi non è mai stata un processo neutrale. In molte occasioni, le parole originali sono state interpretate secondo la sensibilità dei traduttori piuttosto che secondo il loro significato più accurato.

Un esempio emblematico è il passo evangelico in cui Gesù afferma: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio” (Matteo 19:24). Questa immagine, apparentemente iperbolica, è probabilmente il frutto di un errore di traduzione. Il termine greco kamelos (κάμηλος) significa “cammello”, ma esiste un’altra parola simile, kamilos (κάμιλος), che si riferisce a una “gomena”, ovvero una grossa corda usata per le navi. Se il testo originale intendeva kamilos, allora il senso dell’affermazione cambia drasticamente: Gesù non parlava di un assurdo passaggio di un animale attraverso un foro minuscolo, ma di una corda troppo spessa per passare attraverso la cruna di un ago, un’immagine molto più logica e simbolicamente efficace.


Altri Errori di Traduzione e Interpretazione

 

Oltre alla famosa questione del cammello, vi sono numerosi altri esempi di parole tradotte erroneamente o in modo approssimativo:

Il “corno di Mosè”: nella traduzione latina della Vulgata, il termine ebraico karan (קָרַן), che significa “raggiante” o “splendente”, è stato tradotto come “cornuto”. Questo ha portato a rappresentazioni artistiche di Mosè con le corna, come nella famosa statua di Michelangelo.

Il “serpente tentatore”: la parola ebraica nachash (נָחָשׁ) può significare “serpente”, ma anche “portatore di conoscenza occulta”. Questo suggerisce che la figura della Genesi potrebbe essere interpretata non solo come un rettile, ma come un’entità più complessa legata alla saggezza esoterica.

La “vergine” Maria: il termine ebraico almah (עַלְמָה) significa semplicemente “giovane donna” e non necessariamente “vergine”. Tuttavia, la traduzione greca della Bibbia (la Settanta) utilizzò il termine parthenos (παρθένος), che indica esplicitamente la verginità, influenzando così tutta la dottrina cristiana successiva.

Aggiunte e Manipolazioni nel Tempo

 

Molte parole e concetti presenti nelle versioni moderne della Bibbia non erano nelle versioni più antiche. Un esempio è il famoso passo della Comma Giovannea (1 Giovanni 5:7-8), che introduce un riferimento esplicito alla Trinità: “Poiché tre sono quelli che testimoniano in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, e questi tre sono uno”. Questa frase non esiste nei più antichi manoscritti greci e sembra essere stata aggiunta in epoca medievale per supportare la dottrina trinitaria.


Allo stesso modo, alcuni concetti fondamentali della teologia cristiana, come il peccato originale, non sono espressi con chiarezza nei testi più antichi. La dottrina del peccato originale si basa su un’interpretazione particolare della traduzione latina della Vulgata, che differisce significativamente dal senso dell’ebraico originale in Genesi.

Il Problema dell’Aramaico


Molti studiosi sostengono che le traduzioni moderne della Bibbia ignorino il contesto aramaico, la lingua parlata da Gesù. L’aramaico ha molte espressioni idiomatiche che, tradotte letteralmente, perdono il loro vero significato.

Un esempio famoso è la parola abba, spesso tradotta con “padre” in senso formale, quando in realtà avrebbe un significato più affettuoso, simile a “papà”. Questo cambiamento altera profondamente il modo in cui si interpreta il rapporto tra Dio e l’uomo nel messaggio evangelico.

Alcuni studiosi aramaisti moderni sostengono inoltre che molti salmi e detti biblici non fossero in origine “comandamenti religiosi”, ma piuttosto inni poetici rivolti ai capi tribali o espressioni di saggezza popolare. L’idea che la Bibbia sia un “manuale di regole” è quindi una costruzione successiva.


I Salmi e la Lode al Capo

 

Un esempio di questa interpretazione è rappresentato dai Salmi 136 e 137. Spesso letti come inni di ringraziamento a Dio, essi presentano un dualismo significativo. Nel Salmo 136 si ripete costantemente “perché eterna è la sua misericordia”, esaltando il capo (o sovrano) per le sue azioni. Tuttavia, se si legge con attenzione il testo, emerge un aspetto meno edificante: la celebrazione non si limita ai doni di Dio, ma include anche la distruzione dei nemici e lo sterminio di intere popolazioni. Il Salmo 137, famoso per il suo struggente lamento dell’esilio babilonese, termina con un’invocazione di vendetta brutale: “Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia”.

Questi passaggi suggeriscono che alcuni salmi fossero più legati alla celebrazione del potere e della vendetta che a un semplice messaggio di pace e misericordia. Il loro scopo originale potrebbe essere stato quello di rafforzare l’autorità di un capo tribale piuttosto che fornire disposizioni religiose in senso stretto.

Un Gioco di Paradossi: Il Cammello nel Pagliaio

 

Si dice che cercare un ago in un pagliaio sia un’impresa impossibile, un proverbio nato in un contesto contadino dove il pagliaio era un elemento comune. Eppure, questo detto risulta ancora efficace anche ai giorni nostri.


Un concetto simile, ma di origine biblica, è quello che troviamo nel Vangelo: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”. Questo potrebbe essere estrapolato come proverbio o elemento di saggezza universale. Ora, se prendiamo questi due proverbi e li colleghiamo attraverso il loro elemento comune, l’ago con la sua sottile cruna, possiamo immaginare un paradosso: se esistesse un ago abbastanza grande da permettere il passaggio di un cammello, sarebbe certamente visibile e facile da trovare, anche in un fitto pagliaio.


Un filosofo dei proverbi potrebbe quindi sentenziare che per trovare un ago in un pagliaio, esso dovrebbe essere sufficientemente grande da far passare un cammello. Ma sbaglierebbe. Perché questo paradosso nasce da un errore di traduzione, che trasforma una grossa gomena in un improbabile cammello, distorcendo il significato originale del testo biblico.

Perché Serve una Struttura Interpretativa?

 

Se la Bibbia fosse davvero un manuale chiaro e universale, perché esiste la necessità di un’interpretazione ufficiale da parte di una struttura ecclesiastica? Molti teologi e studiosi della fede non conoscono l’aramaico, mentre esimi scienziati ebrei e linguisti specializzati evidenziano discrepanze che mettono in discussione le traduzioni ufficiali.

Inoltre, quando figure autorevoli, come Papa Francesco, citano solo parzialmente passi biblici – come è accaduto recentemente con il Salmo 136 in Piazza San Pietro – perché pochi si prendono la briga di verificare le parti omesse? La selettività nella lettura e nell’interpretazione solleva interrogativi sulla trasparenza e sulla vera natura del messaggio biblico trasmesso ai fedeli.

Le Parole Non Mentono Mai: Fede e Religione

 

La parola fede è stata al centro di eventi storici e tragedie, determinando il corso dell’umanità spesso più delle scoperte scientifiche e delle dimostrazioni matematiche. Ma cosa significa davvero fede? Deriva dal latino fides, che significa fiducia, un atto di scommessa, un’ipotesi, una supposizione. Nulla di certo, dunque, ma qualcosa che implica un salto nel buio, un affidamento senza prova.


Mentre per dimostrare un teorema si impiegano anni di studio e deduzione, le scelte più cruciali della storia sono state spesso fondate su atti di fede imposti da mediatori auto referenzianti, privi di qualunque verifica oggettiva. Quanto male è stato commesso in nome di una parola!


E poi c’è la religione, che viene sempre associata alla fede. Religo, dal latino, significa legame. Un legame che non è solo vincolo, ma anche catena: impedisce l’allontanamento, la riflessione, l’autovalutazione, la critica. Chi ha tentato di spezzare questo legame ha spesso pagato con la vita, perseguitato per eresia, scomunicato o messo a tacere con la violenza.


Conclusione

 

La storia della fede e della religione è, in larga parte, la storia della manipolazione del linguaggio. Comprendere l’origine e l’evoluzione delle parole significa liberarsi dai vincoli imposti da chi ha usato il verbo non per illuminare, ma per dominare.


Se vogliamo davvero cercare la verità, dobbiamo partire dalle parole, perché le parole non mentono mai. Ma possono essere usate per ingannare chi non ha gli strumenti per leggerle nella loro essenza.