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E LA GORGIA RIMASE NELL’ARNO: UN’ASPIRAZIONE DIMENTICATA

Quanto appena scritto ne “Il Placito Capuano” ha probabilmente convinto quelli che “i dialetti derivano dall’italiano corrotto dalle invasioni straniere” ad abbandonare la loro teoria e ad accettare la realtà delle cose così come sono andate veramente. Ho ricevuto però qualche osservazione, qualche quesito o richiesta di chiarimento che andavano oltre la specifica questione, allargando la vista su ulteriori aspetti insiti nella materia trattata o a questa collegati. Ora, io non sono un esperto, né voglio passare per tale, e quello che scrivo è solo frutto e sintesi di ciò che, spinto solo dai ricordi, dalla passione e dalla curiosità, ho appreso da chi la materia la conosce veramente e la diffonde. È solo facendo ricorso a tali elementi in mio possesso, quindi, che provo a completare il discorso iniziato con “Il Placito Capuano” e a rispondere a quelle osservazioni e a fornire quei chiarimenti che vanno un po’ oltre i dialetti e a ciò che mi stava inizialmente a cuore di spiegare. Il quarto dei quesiti cui ho fatto cenno in premessa suona più o meno così:

“Ma il fiorentino di oggi non è l’italiano che parliamo…”

L’italiano diventerà lingua parlata solo dopo l’unificazione e con un decorso non certo fisiologico, come già visto, ma del tutto imposto a tavolino, in quanto, esso da secoli aveva conservato nella cultura e nella letteratura strutture morfologiche invariate dai tempi di Dante, mentre una lingua si evolve solo se parlata. Così il fiorentino parlato ai tempi di Dante si è evoluto per altri sette secoli ed è diventato quello di oggi, così magistralmente rappresentato da Benigni nella sua forma più vernacolare. Questa sosta a Firenze ci dà lo spunto anche per un’annotazione ulteriore: la famosa “c” toscana aspirata, detta gorgia (casa-hasa, cane-hane), non è mai entrata nella lingua italiana, guarda caso proprio perché mai rappresentata per iscritto e oltretutto perché sottoposta nel parlato a regole precise di posizione (e ci asteniamo da altre questioni simili, come fuoco-foco, eccetera, ne so pochino e verrebbe lunga).

Ci spostiamo quindi da Firenze per tornare al Nord e aggiungere un tassello al quadro evolutivo dei morfemi nella lingua parlata e scritta, quello relativo all’uso del passato remoto. Ho già fatto cenno in altra parte di questo articolo al fatto che gli immigrati meridionali si portavano l’uso abituale del passato remoto anche per indicare eventi avvenuti e conclusisi anche da poco (“Ieri vidi un bel film”), mentre noi settentrionali, cui quel tempo è ignoto per antico substrato e relativi dialetti domestici, usavamo e usiamo comunemente solo il passato prossimo, anche per indicare eventi preistorici e storici “L’uomo ha inventato il fuoco…” e “L’Italia è entrata in guerra nel…”. Solo per iscritto e in contesti medio alti dobbiamo ricordarci di usare la ricercata forma canonica.

Canonica? Beh, se l’Italiano dei giornali è canonico o almeno dovrebbe esserlo, soprattutto perché scritto, occorre prendere atto del percorso a marcia indietro del passato remoto negli ultimi cinquant’anni (ne ho già parlato ne “Quale passato?”) sui giornali italiani, compresi quelli di Milano. Qui si sono sempre recensiti gli spettacoli teatrali della sera prima iniziando con un “Lo spettacolo di ieri sera fu entusiasmate e ricevette meritatissimi applausi…” e le partite del giorno prima con frasi del tipo “La vittoria fu meritata e la squadra uscì tra scroscianti applausi” : sul Corriere del 28 novembre 1876 (vedere immagine #1) possiamo riscontrare un repertorio di notizie teatrali che confermano in pieno l’uso del passato remoto per descrivere fatti conclusisi da poco.

E invece troviamo al giorno d’oggi (Corriere 18 settembre 2019) recensioni teatrali che recitano (sottolineati i passati remoti… abusivi): “Vertice del Festival MiTo è stato però il trionfale concerto Nuove geografie al Conservatorio di Milano e al Regio di Torino della Filarmonica di San Pietroburgo, orfana del suo mentore Yuri Temirkanov. L’assenza del leggendario interprete, ben sostituito da Ion Marin, ha paradossalmente permesso di ammirare ancora di più la debordante personalità della formazione russa, il suo suono scuro, morbido e vellutato, la sapienza antica del suo modo irripetibile di fraseggiare. Si è dunque ascoltata una Prima di Mahler rapinosa e scintillante, che ha scatenato applausi entusiastici.
Timido e balbettante, invece, il Larghetto for orchestra di James MacMillan eseguito in apertura di serata. Nell’occasione, il Comune di Milano, nella persona dell’assessore alla cultura Filippo Del Corno, ha insignito il 60enne compositore scozzese del sigillo d’oro della città: un riconoscimento comprensibile — varie opere di MacMillan hanno avuto il battesimo italiano a Milano — ma che si è celebrato nell’occasione in cui il prolifico autore non ha offerto il meglio di sé.”

Dello stesso tenore, ma in campo sportivo, da una Gazzetta di questi giorni apprendiamo che “In questi primi 15 turni di Serie A sono stati realizzati in tutto 29 gol nei minuti di recupero oltre il 90° minuto, che rappresentano il 7,5% delle realizzazioni di questo torneo. Nel corso dell’8° giornata è stato stabilito il record delle reti segnate nei minuti di recupero finali, cioè 7. Inter, Milan e Udinese sono le squadre che hanno guadagnato più punti grazie ai gol messi a segno nei minuti di recupero finali. L’Udinese è anche la squadra che ha segnato di più nei minuti di recupero finali, a differenza del Verona che ha subito più reti di tutte”.

Sempre in campo calcistico, l’uso ormai prevalente di raccontare la partita del giorno precedente al passato prossimo è confermato (immagine #2) da una pagina de “La Gazzetta dello Sport” di pochi giorni fa: una mostra esclusiva di passati prossimi per la cronaca della partita, mentre è curioso notare come quando questo tempo non è usato, forse per una remora scolastica, si faccia ricorso piuttosto al più canonico presente storico (vedi “LA MOVIOLA”, ma mai, mai, al passato remoto.

Possiamo quindi dire che il substrato celtico colpisce ancora ed anche i giornalisti, dopo duemila anni? O che i tanto vituperati dialetti del nord, figli di tale substrato, si vendicano di un certo Dante e del suo imposto dialetto. Mi piacerebbe pensare che lo abbiano fatto per tramandare durevolmente una parte dei propri geni alle future generazioni, prima di scomparire definitivamente nella lingua cui li hanno affidati.

Immagine #1
Immagine #1.a
Immagine #2

Seguiranno altri articoli di risposte ai quesiti…

FONTI
Lezioni online

PRIMA LEZIONE DI FILOLOGIA – Antonio Pioletti – Università di Catania
LETTERATURE IN VOLGARE – NASCITA DELLE LETTERATURE EUROPEE – Maria Strocchia
NASCITA DEI VOLGARI – Lezione 1 – Eni Landi
LETTERATURA ITALIANA – LE ORIGINI: CONTESTO STORICO E CULTURALE – Tiziana Otranto
LE MILLE LINGUE DI ROMA – Luca Serianni
L’ITALIANO DAL LATINO A OGGI – LINGUA E DIALETTO – Le Pillole della Dante – Luca Serianni
IL PLURILINGUISMO MEDIEVALE E LA COSCIENZA DISTINTIVA DEGLI IDIOMI ROMANZI – Scuola di Filologia Patavina – Furio Brugnolo
L’ITALIANO DAL LATINO A OGGI – MANZONI E LA LINGUA ITALIANA – Le Pillole della Dante – Luca Serianni  
QUANDO, COME E DOVE È NATO L’ITALIANO – Università di Siena – Giuseppe Patota
STORIA DEL LATINO: LA VERA PRONUNCIA DEGLI ANTICHI ROMANI – Scripta Manent – Roberto Trizio
LINGUA E IDENTITA’ NAZIONALEI N ITALIA – Lezioni dei maestri della Scuola di Filologia Patavina – Pier Vincenzo Mengaldo

Per la BIBLIOGRAFIA  vedere ne “IL PLACITO CAPUANO”