I nostri dialetti sono in disuso da parecchi anni: il milanese in particolare, proprio a causa della forte immigrazione interna già dagli anni Cinquanta e per le esigenze della sua crescente dimensione internazionale. Ma deve essere consentito, a chi i dialetti (perchè al plurale lo spiego in altra parte del sito) se li ricorda per averli imparati e amati fin da bambino, di lenire la pena di quell’oblio, di fare qualcosa per tenerli il più a lungo fuori dalla discarica dei ricordi e per rimarcare la loro dignità di lingue in tutto e per tutto, anche se in tempi nei quali a scriverci erano in pochi.
I nostri dialetti non derivano, come spesso ho sentito dire (un’altra pena), dalla lingua italiana, corrotta nei secoli da idiomi stranieri, ma derivano direttamente dal latino già volgarizzato, adagiatosi sul preesistente substrato (qui celtico), come tutte le altre lingue neolatine (non avete mai sentito l’assonanza di frasi in galiziano o in catalano con il dialetti milanese o padano in genere?) e quindi come il toscano, che poi, meritatamente, ha vinto la competizione nazionale ed è diventato la lingua ufficiale identitaria della nazione e dello stato italiani.
Certo, Milano non ha avuto Dante, ma Manzoni, che pur parlando in milanese, pensò di andare a sciacquare i suoi panni (o a intingere la sua penna?) in Arno, piuttosto che nel Naviglio, prima di scrivere I promessi sposi. Ma forse sarebbe stato già troppo tardi e oggi non ci consola il fatto che qualche e si pronunci aperta o chiusa perché lo abbia imposto l’italiano parlato a Milano (noi diciamo témpo, insiéme, pensiéro, con la e chiusa e non certo tèmpo, insième, pensièro con la e aperta, confinata nel novero di attori ed annunciatori.
Per trecento anni e più anni la letteratura milanese era comunque stata e dignitosamente rappresentata sui libri e soprattutto sui palcoscenici della città. Chi scrive ha fatto in tempo a vedere le ultime scene di quel passato che, attraverso la lingua del cuore, tramandava il senso di una schietta identità di gente. Ancora fino agli anni Ottanta si poteva assistere a opere dialettali in più di una sala, anche se il teatro dedicato solo al dialetto era il grazioso Gerolamo, in piazza Beccaria. Qualche sussulto ancora a cavallo del duemila, poi, sparito Mazzarella, è finito tutto, solo rari revival in bianco (soprattutto per i capelli) e nero su libri e social.
Ma ne riparleremo. Per provare a capire se e come Milano abbia potuto conservare il proprio spirito culturale per oltre un secolo avendo nel frattempo perso il proprio idioma identitario, soprattutto al confronto con altre città che invece conservano ancora un forte legame tra dialetto e identità popolare.
(immagine: LombardiaBeniCulturali)