Si parva licet componere magnis
La prima battaglia della Seconda guerra mondiale (anche la prima battaglia di Dante) ci ha già dato lo spunto per una (non convenzionale) disamina “per frattali”, di una guerra. Ma ci dà anche lo spunto per un’analisi più vasta, di portata strategica, politica, internazionale la macro-decisione dell’Italia di entrare in guerra, anche questa abbastanza non convenzionale per il fatto che intende proporre e dimostrare come quella guerra, dichiarata dall’Italia a mezzo mondo (compresi Stati Uniti e Unione Sovietica!) non poteva che avere macro-esiti e micro-esiti disgraziati, anche in caso di ipotetica vittoria. Cominciamo dall’ipotesi che, sbaragliato francesi e inglesi, occupata la Francia e instauratovi un regime collaborazionista, la Germania avesse costretto ad una resa anche l’Inghilterra, traumatizzata da Dunkerque, rimasta sola sotto le bombe, con gli Stati Uniti ancora ben lontani dall’intervenire (mancavano diciotto mesi a Pearl Harbour) e con l’URSS ancora alleata della Germania, e insidiata da venature interne neonaziste. Fine della guerra. E l’Italia, cosa avrebbe ottenuto? Mussolini chiese il 18 giugno a Hitler di poter partecipare alle trattative per l’armistizio, con il quale ottenere: l’occupazione del francese fino al Rodano, della Corsica, della Tunisia, di parte dell’Algeria e di Gibuti, la requisizione della flotta navale e di quella aerea. Cosa ottenne l’Italia, in realtà? Un armistizio separato per la “pugnalata” e solamente l’occupazione dei territori che le truppe italiane avevano faticosamente conquistato: una sottile striscia di territorio montagnoso profonda 30 chilometri, per un totale di nemmeno trentamila abitanti! Al prezzo di 39 ufficiali morti, 187 feriti, 592 soldati morti, 5311 soldati feriti, di cui 2125 congelati, che evidentemente non bastò a Mussolini “per sedersi al tavolo del vincitori”.
Ma, tralasciando le ipotesi e tornando allo svolgimento reale dei fatti, Il fascismo, portando in guerra il Paese con l’aggressione alla Francia, con quella che Roosevelt definì una “pugnalata alle spalle” (non perché inflitta ad un amico, ma ad un essere morente), segna di fatto il mortificante destino cui sarebbe stata indirizzata l’Italia. Già questo esordio nel tempo sbagliato e nel luogo sbagliato, senza un nemico vero, senza un obiettivo territoriale credibile, volto solo a porre una non richiesta ciliegina sulla torta che l’alleato tedesco aveva già confezionato in Francia, costituisce di fatto un passo iniziale di non ritorno. Mentre la Germania, come nel mese precedente e ancora per due anni, condurrà la danza vincente delle operazioni militari, mantenendo viva l’illusione di una vittoria finale, l’Italia subì invece, da subito e con poche eccezioni, continue sconfitte e ripetuti rovesci, confermandosi sempre più, partendo proprio dalla Battaglia delle Alpi, nel ruolo di paese servo e marginale e quindi necessario di protezione da parte di Hitler, come altri paesi europei di secondo piano e oltre. La protezione assunse addirittura contorni di un vero e proprio soccorso in Grecia (e qui torneremo a vedere come le sciagurate macro-decisioni si ripercuoteranno sui soldati al fronte), con risvolti talora anche grotteschi, come quando i tedeschi si frapposero tra i nostri e i greci, a difesa di questi, già a loro arresisi (e vedremo a quale prezzo fu pagato questo sciagurato inseguimento allo scoperto). Il soccorso, inutile stavolta, fu replicato con Rommel in Libia, il servilismo con le spedizioni in Russia, al prezzo della morte o del congelamento di oltre centomila soldati, con la subalternità fantoccia di Salò, con la manovalanza lugubre della RSI, con un cappotto mendicato sulle rive del lago di Como.
Progressivamente, con lo svolgersi di questi fatti e in aggiunta a tutti gli altri comprensibili motivi, questa presa di coscienza finì per far considerare la guerra un’assurda sciagura, a dispetto delle menzogne della propaganda ufficiale: un’eventuale vittoria avrebbe portato l’Italia ad una lunga e triste servitù volontaria, in quanto voluta e accettata dalla classe dirigente e dalla borghesia italiana del tempo.